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IL FLYING YOGA DANCE® E LA RESILIENZA



Se penso al FLYING YOGA DANCE la parola che mi viene in mente per descriverlo e rappresentarlo visceralmente è la parola RESILIENZA, ed il suo significato è intriso di metafore che spiegano e verbalizzano perfettamente la disciplina stessa.


«Resilienza» è una parola chiave per interpretare l'attuale fase di transizione, un termine per lo più attribuito alla metallurgia, e sarà per questo che ha il fascino magico-alchemico evocativo dell'oro. Può definirsi come l'arte dell'adattamento al cambiamento, volgendo le incertezze in opportunità e i rischi in innovazione.


Per innovare oltre all'autostima serve appunto resilienza, modalità della mente e della psiche umana di reinventarsi e rigenerarsi. Dagli studi di fine anni Ottanta della psicologa americana Emmy Werner sui casi di neonati dell'isola hawaiiana di Kauai, veniva la conferma dell'attitudine umana di far fronte alle difficoltà della vita in contesti sociali sfavorevoli. Se negli Usa la resilienza ha avuto più una connotazione psicologica, in Europa la parola si è applicata abitualmente in meccanica, metallurgia e soprattutto in agricoltura, attribuendo a un suolo la resilienza a seguito di calamità naturali, inondazioni o siccità, poiché «capace di riprendere vita, seppur sotto forma diversa rispetto a quella precedente lo shock ambientale».


Anche fuori dall'originale contesto e applicata in altri ambiti, la parola indica la forza di reagire, fino a capovolgerle, alle situazioni avverse. Una persona resiliente è dunque l'opposto di quella facilmente vulnerabile, poiché in grado di adattarsi e fornire una risposta reattiva alla situazione in atto.


La resilienza è una "ripartenza" sana e positiva alle spinte in un mondo sempre più interdipendente e iperconnesso: è una alternativa che indica una via d'uscita. Un'inversione di tendenza a seguito di un "rimbalzo" come indica la voce latina "resalio". Si tratta dunque della capacità di cogliere al volo le "risalite dopo le discese ardite". Laddove per discese ardite si intendono quei fallimenti che potrebbero demoralizzare e demotivare fino all'abbandono.





Uno resiliente e tenace ai "fallimenti" doveva essere Thomas Edison, tra i più grandi inventori della storia, con ben 1.093 brevetti a suo nome, record imbattuto. Edison è famoso per essere l'inventore della lampadina, uno degli oggetti più utilizzati al mondo. Ma prima di realizzarla dovette passare attraverso una lunga serie d'insuccessi, perché non riusciva a trovare un materiale con cui poter fare il filamento interno senza che si bruciasse all'accensione. Dopo qualche migliaio di tentativi "andati in fumo" con materiali diversi, all'obiezione se dopo così tanti "fallimenti" non fosse il caso di lasciar perdere, lui rispondeva: «Io non ho fallito. Ho solo scoperto 2.500 materiali che non funzionano». Ne dovette testare circa il doppio prima di trovare la soluzione, cioè il filamento in tungsteno, e fare quindi dono all'umanità della lampadina. Quello di Edison è un modo di approcciarsi significativo su come affrontare e superare le avversità.




RESILIENZA E POSTURA

La POSTUROLOGIA ci insegna che una colonna vertebrale senza il giusto bilanciamento tra le sue curve fisiologiche, diventa una colonna troppo dritta di conseguenza molto rigida , nonché fragile , in quanto poco capace ad attutire i colpi e quindi a sostenere il costante peso gravitazionale.



Se osserviamo una persona di schiena, la colonna vertebrale ha un andamento pressochè verticale; se osserviamo invece la stessa persona di profilo, scopriamo che la colonna vertebrale è caratterizzata dalla presenza di quattro curve, alternativamente concave e convesse, che corrispondono alle quattro porzioni principali della colonna stessa. Le due curve concave posteriormente (lordosi) si trovano a livello cervicale e lombare, mentre le due curve convesse posteriormente (cifosi) corrispondono alla colonna dorsale e al sacro.


L’entità di queste curve può essere notevolmente diversa da individuo a individuo e dipende da fattori ereditari, sesso, etnia, ecc. ma in tutti gli individui esse subiscono modificazioni in rapporto all’età: nei primi anni di vita le curve lordotiche si sviluppano contestualmente alla capacità di controllare la posizione seduta e la stazione eretta; nei bambini dai 3 ai 6 anni sono solitamente molto accentuate per lo scarso sviluppo della muscolatura e del controllo posturale; nella maggior parte dei casi si stabilizzano intorno ai 10 anni di età e possono essere notevolmente influenzate dalle attività sportive e/o dalle abitudini posturali; negli anziani, infine, tendono ad accentuarsi di nuovo sia a causa di una diminuzione del tono muscolare sia a causa di probabili deformazioni dei corpi vertebrali legate alla comparsa di osteoporosi.


Le quattro curve della colonna vertebrale sopra descritte, sono definite “fisiologiche” in quanto “normali”, cioè proprie della nostra specie e biomeccanicamente vantaggiose: la loro funzione, infatti, è quella di distribuire adeguatamente il carico tra le vertebre e di aumentare la capacità della nostra colonna a contrastare la forza di gravità, ammortizzando le forze di compressione cui siamo costantemente sottoposti.







La nostra colonna vertebrale è quindi paragonabile ad una canna di bamboo che pur essendo sottoposta a forti venti , si piega, ma non si spezza, grazie alla sua RESILIENZA: estrema flessibilità e quindi capacità di mutare agli eventi atmosferici .








QUINDI E' IMPORTANTE RICORDARE CHE


⦁ Quando si parla di colonna vertebrale bisogna ricordare che “verticale” non significa “piatto”: se si osserva una persona di profilo bisogna poter riconoscere , la presenza di tutte e quattro le curve fisiologiche;


⦁ La colonna vertebrale è in grado di allungarsi verso l’alto se i muscoli posteriori del tronco (muscoli dorsali) contraendosi la tirano verso il basso: è necessario immaginare la colonna sia costantemente sottoposta all’azione di due forze uguali e contrarie;


⦁ Le curve fisiologiche devono essere “allungate e ridotte in ampiezza” ma mai “annullate”, ciò significa che quando ci si sdraia a terra in posizione supina, deve rimanere un piccolo spazio vuoto sia a livello del collo che della colonna lombare: una volta imparato a controllare tale posizione a terra, è necessario abituarsi a riportarla e a mantenerla nel lavoro in piedi;


⦁ Le dimensioni degli “spazi vuoti” sopra descritti sono diversi da individuo ad individuo: dipendono dalle caratteristiche genetiche e sono strettamente legate all’abilità del soggetto di utilizzare i muscoli stabilizzatori, sia profondi che superficiali, della colonna vertebrale;


⦁ La verticalità della colonna vertebrale non può prescindere dalla corretta posizione del bacino che dovrà essere mantenuto anch’esso in posizione verticale o “neutra”;


⦁ Non si può ottenere una corretta impostazione della colonna se non si lavora sulla respirazione, sull’allineamento dell’intero corpo e sull’attivazione della “muscolatura profonda”.





IL FLYING YOGA DANCE® lavora nel rispetto delle normali curve fisiologiche e si pone come obiettivo l’allineamento della colonna vertebrale lungo l’asse centrale del corpo, il controllo del “centro” ed il mantenimento della flessibilità e della mobilità della colonna stessa, nonché la sua RESILIENZA.


Se impariamo ad allineare la colonna vertebrale e a mantenerne la posizione durante il movimento, otterremo un immediato miglioramento della plasticità ed elasticità, con una evidente diminuzione del volume della muscolatura degli arti inferiori che, sostenuti dal “centro”, potranno lavorare prevalentemente “in allungamento” ma soprattutto allevierà notevolmente il carico di lavoro della schiena.


La disciplina del FLYING YOGA DANCE® aiuta quindi anche a migliorare le performance dei professionisti dello sport, come boxer ,nuotatori ,podisti e danzatori permettendo loro di praticare la propria attività più a lungo e senza dolore.

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